IN NOME DI NESSUNO – Giocando a carte con la storia

CINEMA TEATRO PARADISO
Via Cesare Battisti – FOLGARIA

giorno 17/12/2015
ora 21:00

categoria

IN NOME DI NESSUNO - Giocando a carte con la storia


Teatro E
Da un’idea di Mirko Corradini
Drammaturgia di Alberto Frapporti
Con
Giuseppe Amato
Andrea Deanesi
Alessio Dalla Costa
Beatrice Uber

Se quattro uomini infelici si siedono attorno a un tavolo – un panno verde, quattro pile di fiches, quattro bicchieri e una bottiglia, un portacenere pieno di mozziconi, una scatola di fiammiferi, fumo denso nell’aria, musica da un giradischi, un mazzo di carte usate che portano addosso anni di vita vissuta, odori, mani… – una parola in più, uno sguardo di troppo e può scoppiare la guerra.
Se questi quattro personaggi fossero: Margaret Thatcher, Salvador Allende, Lee Harvey Oswald e Gesù Cristo che giocano, ricordano, fanno battute tra un bicchiere e l’altro, si prendono per i fondelli, litigano.
Parlano delle loro storie, dei loro perché, delle loro morti, tutte diverse ma legate da un filo conduttore che è l’umiliazione nel corpo: Allende suicida, o assassinato, con uno sparo in volto; Oswald ucciso dopo essere stato umiliato come l’unico omicida di Kennedy; Thatcher morta di una malattia che ha deturpato il suo corpo un tempo così fiero e “di ferro”; Gesù Cristo morto sulla croce.
Parlano della guerra, dei conflitti, delle loro motivazioni e dei loro interessi; ne parlano come rappresentanti dei poteri forti, l’immagine pubblica di chi decide che bisogna invadere, attaccare, sterminare.
Strategie, alleanze, obiettivi, tradimenti, convenienze, bluff, interessi, tutto racchiuso in 52 carte da gioco.
La tensione sale, la partita entra nel vivo, i sorrisi si fanno tirati, le mani si muovono lente, le parole vengono contate; una parola di troppo, un gesto e scatta il conflitto.
Il pubblico è disposto in modo da vedere se stesso (pianta centrale) ed in più avrà un suo angolo di visione, vedrà la sua fetta di spettacolo come succede in politica: ognuno vede la sua parte. Nel corso dello spettacolo il dialogo subisce una torsione su se stesso, come se il pubblico che guarda il palcoscenico venisse pian piano portato a guardarsi dentro: “Anche mio padre, anch’io con i miei figli, anch’io sul lavoro, anche nel mio Comune…”. E dalla platea il linguaggio corporeo – quello difficile da nascondere, da mascherare – si incarna sul palco, ed è il pubblico che porta l’attore a gettare la maschera, a cancellare la parola, a togliere il trucco.
Lo spettacolo diventa un grande gioco, un gioco fatto di conflitti e relazioni come lo sono sia la politica, sia il rapporto tra gli esseri umani; la chiave è un mazzo di carte, quelle in mano ai politici del Novecento come quelle in mano a un padre di famiglia. Ma il gioco di cui si parla è anche lo spazio compreso tra due superfici, è un sinonimo di incertezza, di rischio; è quello spazio in cui le sicurezze crollano, in cui si sceglie di stare soli, ma non di soffrire la solitudine.